giovedì 30 luglio 2015

29/07/2015 Gela e disastri ambientali



[...]D’estate la spiaggia è sempre affollata. In una soleggiata mattina d’inverno il mare è strepitoso, turchese e blu [...] basta non voltarsi a guardare raffinerie e camini industriali.


“Una volta qui era tutto agrumeti. Quando è sbarcato il petrolchimico gli agricoltori hanno tagliato tutto e sono venuti a lavorare in fabbrica. No, allora non si badava all’ambiente. Quando il petrolchimico dava lavoro, l’inquinamento non si sentiva”.[...] “Si chiamava miracolo, e lo era: negli anni cinquanta qui c’era povertà, si faticava a mettere il cibo in tavola. Raffinerie e petrolchimico erano il riscatto industriale della Sicilia. Portavano benessere e la speranza di non dover più emigrare”, riconosce Enzo Parisi, oggi attivista di Legambiente.[...]“Si chiamava miracolo, e lo era: negli anni cinquanta qui c’era povertà, si faticava a mettere il cibo in tavola. Raffinerie e petrolchimico erano il riscatto industriale della Sicilia. Portavano benessere e la speranza di non dover più emigrare”, riconosce Enzo Parisi, oggi attivista di Legambiente.[...][...]L’Italia ha smesso di investire in ricerca, eccellenza, innovazione: “Come siamo arrivati a questo disastro? Qui ci sono un’area industriale attrezzata, un sapere umano, grandi professionalità. Manca un piano industriale per rivitalizzare il sud”, dice. “Le aziende non rischiano e non investono su tecnologie avanzate. Serve uno stato che sappia orientare il progresso nel rispetto delle risorse naturali, dettare regole su ambiente e salute, puntare su produzioni che abbiano utilità sociale”. E in primo luogo uno stato che rispetti l’impegno preso con i cittadini: fare la bonifica.A Gela, sulla costa meridionale siciliana, il “ricatto” ha funzionato. Le analogie con l’area siracusana sono evidenti: un polo petrolchimico fondato negli anni sessanta dall’Eni di Enrico Mattei (era la “risposta” dell’industria di stato al polo privato di Priolo-Augusta), decenni di inquinamento, una cittadina di 72mila abitanti a poche centinaia di metri da raffinerie e ciminiere. “Ma qui il vento tira dalla città agli impianti, e non viceversa, per almeno 300 giorni all’anno”, mi dice Orazio Gauci, responsabile della Fiom di Gela.Anche Gela è un Sin designato per la bonifica: quasi seimila ettari di territorio e 4.500 ettari di mare contaminati da metalli pesanti, idrocarburi, composti clorurati cancerogeni, ammoniaca, benzene e pcb. Anche qui lo studio Sentieri nel 2011 ha segnalato eccessi di tumori e altre malattie legate all’inquinamento accumulato nei decenni.E anche qui il complesso industriale è in declino: la raffineria quasi spenta, il petrolchimico chiuso. Del progetto di Mattei resta un centinaio di trivelle sparse nel raggio di una ventina di chilometri, tra i campi di carciofi e le serre. Negli anni ottanta si sono aggiunte le piattaforme off shore Perla e Prezioso (che estrae gas), visibili dal lungomare di Gela. E poi qui arriva GreenStream, il gasdotto che porta il gas naturale dalla Libia, 520 chilometri attraverso il Mediterraneo.“L’ultima cosa importante che abbiamo costruito è l’impianto Snox”, spiega Gauci mostrando il camino più alto di tutto l’insieme: tratta circa metà dei fumi della centrale termoelettrica a petcoke, o coke petrolifero, sorta di carbone ottenuto dai residui più sporchi del petrolio (emana anidride solforosa, ossidi di azoto, polveri). Cioè, trattava: ora l’impianto è fermo.[...]

Fonti:http://www.internazionale.it/reportage/2015/04/17/sicilia-petrolchimico
http://www.greenme.it/informarsi/ambiente/10554-sversamento-petrolio-gela










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